
Perché sto abbandonando le piattaforme per freelance (e quali alternative sto esplorando)

Negli ultimi anni ho cercato di far crescere la mia carriera da freelance usando le piattaforme online. Sembravano promettenti: accesso immediato a clienti, progetti creativi, opportunità globali. Ma col tempo, la frustrazione ha superato la soddisfazione.
La realtà è che queste piattaforme spesso mettono i freelance gli uni contro gli altri, in una corsa al ribasso che svaluta competenze, tempo e salute mentale. E così, dopo molte riflessioni, ho deciso di abbandonarle
In questo articolo racconto perché sto lasciando le piattaforme per freelance e quali alternative sto esplorando per lavorare in modo più sostenibile, autonomo e con una rete di relazioni più autentiche.
Essere freelance spesso (e purtroppo) equivale a prendere parte ad una guerra tra poveri, soprattutto da quando si sono affermate piattaforme come Fiverr e Upwork, paladine della gig economy da 5 euro a progetto.
Essere in eterna concorrenza con decine di altri professionisti per accaparrarsi un incarico non solo mina la nostra salute mentale, ma ci costringe anche a mettere continuamente in discussione il nostro valore, il nostro portfolio e persino il nostro modo di presentarci.
Dopo anni di tentativi, ho deciso di tagliare i ponti con alcune piattaforme. Ecco le mie esperienze dirette.
Vidsy
Vidsy è una piattaforma specializzata in motion design e contenuti brevi per i social. All’inizio ho lavorato su progetti per brand importanti come Now TV, Amazon Prime Video e L’Oréal. Anche se ricevevo più rifiuti che incarichi, l’esperienza era comunque positiva.
Col tempo, però, i progetti sono calati drasticamente. Dopo tre anni di rifiuti, ho deciso di chiudere l’account per tre motivi:
Budget fermi, inflazione in crescita: i compensi non sono mai aumentati, mentre il costo della vita sì.
Feedback inascoltati: le proposte di miglioramento fatte dai creativi sono rimaste lettera morta.
Focus sull’UGC: la piattaforma ha virato verso contenuti generati dagli utenti, poco adatti al mio profilo.
WorkingNotWorking
A differenza di altre piattaforme, su WorkingNotWorking non ho mai ricevuto incarichi. Tuttavia, l’esperienza mi piaceva: ero fiducioso che, con l’espansione in Europa (il loro mercato principale è negli USA), le opportunità sarebbero aumentate. Partecipavo anche volentieri ai loro webinar.
Non sono stato io a chiudere l’account, ma la piattaforma stessa ha annunciato la chiusura con un post su Instagram. In quell’occasione ho scoperto che faceva parte del gruppo Fiverr, e questo ha attenuato un po’ il mio dispiacere.
Nova
Nova è una piattaforma disponibile sia su app che su web. In pochi mesi mi ha portato solo tre contatti, senza mai trasformarsi in collaborazioni concrete.
Un aspetto frustrante era la trasparenza sul numero di candidature: ogni annuncio mostrava quanti freelance avevano già risposto, spesso più di 100. Questo rendeva ogni tentativo scoraggiante.
Di recente è stato introdotto un abbonamento premium: 59,99 dollari all’anno, 8,99 al mese oppure un day pass da 2,99. Un modello pay-to-play che non fa per me. Preferisco pagare per un servizio vero, non per la speranza di riceverne uno. Per questo ho deciso di eliminare app e account.
Prima di rinunciare del tutto, ho cercato di migliorare la mia visibilità: ho aggiornato spesso il profilo, personalizzato ogni candidatura e risposto rapidamente alle offerte. Ho partecipato anche ad eventi live e chat di gruppo organizzate dalla piattaforma. Purtroppo, tutto questo non ha prodotto risultati concreti.
The Dots
Una delle piattaforme che ho apprezzato di più, almeno inizialmente. Grazie a The Dots ho lavorato a progetti creativi interessanti, come “The Spirit of Camden”, e ho trovato stimoli reali in una fase iniziale della mia carriera freelance.
Negli ultimi anni, però, ho notato un progressivo calo della qualità: proposte poco professionali, frequente ghosting e richieste di lavoro gratuito mascherate da “collaborazioni”. La sezione feedback è diventata uno spazio inascoltato, e la piattaforma inizia a somigliare più a una bacheca universitaria che a un vero network professionale.
Non ho ancora abbandonato The Dots, ma sto seriamente valutando se abbia ancora senso investire tempo ed energie su una piattaforma che sembra aver perso la sua direzione.
Quali alternative sto esplorando
Anziché continuare a investire tempo ed energie in piattaforme che non valorizzano davvero il lavoro freelance, ho iniziato a esplorare canali più coerenti con la mia nicchia professionale:
- Community su Slack e Discord dedicate a settori creativi specifici (motion design, branding, UX writing, ecc.)
- Newsletter verticali come Freelance Weekly, Indie Hackers o The Freelance Stack, dove circolano job board e contatti reali
- Motori di ricerca per community, come Sidequest o HiveIndex, che aiutano a trovare community attive per nicchia e canale
Questi spazi non promettono scorciatoie, ma offrono dialogo, visibilità e valore reale. Non c’è un algoritmo a decidere chi merita un’opportunità.
Conclusioni
Il lavoro freelance ha bisogno di relazioni, fiducia e contesti che valorizzino davvero le competenze. Le piattaforme generaliste spesso alimentano una competizione distruttiva che svilisce il lavoro, e oggi ho capito che non sono al servizio dei freelance, ma di se stesse.
Non ho una soluzione magica, ma sto cercando nuove strade, spazi più umani e professionali dove potermi esprimere senza svendermi.
Per chi si sente intrappolato nella “gig economy” da 5 euro, forse è il momento di cercare altrove. Le alternative esistono e stanno nei luoghi dove il valore conta più del volume.